lunedì 1 dicembre 2008




L'esordio della malattia di Alzheimer



In molti casi, si arriva alla diagnosi in seguito a preoccupazioni espresse dai familiari, i quali notano alterazioni nell'equilibrio psico-fisico del proprio caro (vedi i 10 sintomi predittori precedentemente esposti).

Spesso la persona malata non si rende conto di avere dei problemi e non condivide perciò le preoccupazioni dei propri familiari; non ha perciò alcun interesse a chiedere una diagnosi.

In alcuni casi la depressione può essere la conseguenza della notizia.

Sovente la persona affetta da demenza necessita di aiuto per imparare a convivere con i propri sentimenti di rabbia, di colpa, paura e depressione. In alcuni casi può essere utile partecipare a gruppi di supporto e auto-aiuto, purchè la malattia non sia ad uno stadio troppo avanzato.

L'orientamento attuale é quello di informare sempre più spesso la persona della diagnosi che la riguarda. Si ritiene infatti che il dolore procuratole dalla notizia sia il prezzo da pagare per permetterle di prendere una serie di decisioni importanti: programmare come trascorrere al meglio gli anni di relativo buon funzionamento mentale che le rimangono, programmare la propria assistenza, prendere importanti decisioni finanziarie e persino partecipare alla ricerca sulla malattia, o disporre la donazione post mortem del proprio tessuto cerebrale per la ricerca.

Per quanto riguarda la mia esperienza personale, ricordo che mio nonno scoprì da solo di essere affetto dalla sindrome di Alzheimer. Non conosceva il nome di questo morbo, tuttavia si chiedeva spesso cosa gli stesse accadendo e ripeteva in continuazione "sto perdendo la testa".

Noi familiari cercammo di rassicurarlo come meglio potemmo simulando un'apparente tranquillità. Tuttavia, non potemmo restare indifferenti il giorno in cui versò la benzina al post del gasolio nel motore del trattore, rendendolo perciò inutilizzabile, o quando, terminata la cena, chiedeva di poter cenare, o ancora, quando scambiava sua moglie per sua mamma.

Nessun medico, familiare o amico comunicò a mio nonno quale fosse la causa dei suoi repentini sbalzi d'umore e delle sue dimenticanze. Non fu necessario, perché dentro di lui sapeva cosa lo attendeva e confermare quella che per lui era già una certezza, avrebbe contribuito ad irritarlo ulteriormente, facendolo chiudere maggiormente in se stesso.

L'unica soluzione fu quella di vigilare sulle sue attività quotidiane con discrezione, somministrandogli i farmaci (spacciandoli per anticibiotici contro la trombosi) e tentando di tener allenata la sua memoria attraverso la lettura di semplici storielle (io chiedevo al nonno di leggermene qualcuna, fingendomi curiosa di scoprirne la trama), giocando a carte o cantando alcune canzoni della sua giovinezza.

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