giovedì 29 gennaio 2009

"L'Essenziale è Invisibile agli Occhi"
Cari amici,
ho iniziato questo blog con l'unico scopo di superare una parte dell'esame di informatica, ma non mi sono resa conto che post dopo post, vi ho parlato di me, di ciò che sono e di come cerco di affrontare questo grande dolore chiamato Alzheimer.
Sono felice di averlo fatto, perchè ne avevo bisogno! Avevo davvero un gran bisogno di metter nero su bianco i miei pensieri e la mia sofferenza...avevo bisogno di sfogarmi!

"Ecco il mio segreto", disse la volpe al Piccolo Principe: "Non si vede bene che col cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi".
Che dire amici...questa frase accompagna ogni singolo giorno della mia vita! Lessi questo libro in prima media e me ne innamorai perdutamente.
La cosa straordinaria è che questo libro non ha età! Lo puoi leggere da piccino, da adolescente...da uomo!
Credo di averlo letto e riletto all'incirca un migliaio di volte ed ogni volta ho scoperto qualcosa, qualcosa di profondo, di importante tra le righe di questo libricino...

"L'ESSENZIALE E' INVISIBILE AGLI OCCHI"...una frase che ci chiede di riflettere! La prima volta che lessi il libro, trovai interessante questa frase, ma forse non fui in grado di comprenderla fino in fondo....
Oggi, per la prima volta, posso dire di aver capito il senso di queste parole e non per merito mio, ma per merito di mio nonno.
La sua malattia mi ha scombussolato la vita, mi ha gettata nella disperazione, mi ha terrorizzata...ma mi ha insegnato l'amore e mi ha permesso di capire cos'è davvero importante nella vita!
Il giorno in cui gli fu diagnosticata questa malattia, giurai a me stessa che avrei iniziato a vivere VERAMENTE e che avrei rincorso solamente "l'essenziale", giorno per giorno. La vita è troppo breve per buttarla via o per lasciarla scorrere velocemente, seguendo qualche sciocca moda...
Quell'uomo anziano, con i suoi 87 anni, se ne sta seduto su una sedia a rotelle e mi stringe la mano; mi sussurra di dargli un altro bacio, mi chiede di tornare da lui l'indomani e non appena gli rimbocco le coperte, all'improvviso mi guarda e dice:"Scusami...e grazie per tutto ciò che fai!" Ed è allora...è allora che mi sento tremare le gambe...è allora, in quella struttura per malati di Alzheimer, in quella fredda stanza che capisco il senso della vita! E ancora una volta, la parola d'ordine è amore!! Ecco cos'è fondamentale nella vita: l'amore! L'amore vero che aiuta a sconfiggere il dolore, l'amore che ti incoraggia ad andare avanti...l'amore che non si dovrebbe negare a nessuno!

In uno dei miei primi post, vi chiedevo di aiutarmi a capire se valga davvero la pena vivere, nascere sapendo di dover soffrire...Sì ne vale la pena! Me lo ha insegnato un gruppo di malati di Alzheimer, un gruppo di donne e uomini che ha perduto tutto! Ogni giorno la malattia, li deruba di un ricordo: un viso amico, un paesaggio. Dimenticano tutto! Puoi parlare con loro per ore, voltarti qualche secondo...e chiederanno nuovamente il tuo nome!
I malati di Alzheimer non ricordano nulla...ne siamo così convinti? No amici, gli abbracci li ricordano! Il loro bisogno d'affetto è commovente!

Ed ora la parte più difficile....
Guardando il film "Ritorno a Cold Mountain", mi rimase impressa una frase: "La sola cosa che ci è data, è accettare". Già...però, quanto è difficile! Credo di non aver mai accettato la malattia di mio nonno e in questo modo non faccio che "ammalarmi" di rabbia, che sentirmi impotente, senza risolvere nulla! La verità è che devo imparare ad accettare che la vita è sacrificio e che non sempre c'è un lieto fine, come nei film! E' facile dire:"fattene una ragione; vai avanti; la vita è così Ma quando inizi a provare sulla tua pelle cosa significhi...bè allora le parole non bastano più!

Devo accettare questa situazione ed essser coraggiosa. Già perchè, ci vuole coraggio quando il nonno rifiuta il cibo ripetuatamente, quando è preda di una delle sue solite crisi, quando non vuole lasciarsi cambiare! Questo coraggio, lo scopri nella quotidianità ed è essenziale per andare avanti!
L'eredità di mio nonno è contenuta in questa semplice frase...facile da scrivere, difficile da vivere: "L'ESSENZIALE E' INVISIBILE AGLI OCCHI"

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.
(Eugenio Montale)

Montale dedicò questa poesia a sua moglie.
Io la voglio dedicare ad Aldo, un uomo buono, coraggioso, onesto...un uomo che ho sempre ammirato e che continuerò ad ammirare per tutto il resto della mia vita!
Le operatrici e mamma mi dicono che i tuoi occhi sono offuscati nonno...eppure, nessuno riesce ad osservarmi come fai tu, nessuno riesce a guardarmi nel profondo come fai tu! Il tuo sguardo mi accompagna ogni giorno...mentre sono in mensa, mentre sto seguendo una lezione...tu ci sei!
Grazie per ciò che sei! Grazie per l'amore che mi dai! Grazie perchè da quella scomoda sedia a rotelle continui ad impartirmi lezioni di vita!

Da piccina mi hai stretta fra le tue braccia e giorno dopo giorno, passo per passo, mi hai insegnato a camminare in questo mondo. Io ti aiuterò a muovere gli ultimi passi durante questo tuo ultimo viaggio e lotterò con te e per te, contro questa malattia!
...Malattia che può derubarti di tutto, ma non della dignità di uomo e dell'affetto della tua famiglia!
Grazie nonno!

mercoledì 28 gennaio 2009


L'Amore conta

Se provo ad immaginare il mio futuro immediato, mi vedo educatrice...una brava educatrice spero! Mi vedo circondata da amici, da una famiglia che amo e felice...
Però a questo punto, smetto di pensare perchè ho paura. Ho paura che un giorno, anche io potrei ammalarmi di questa orrenda malattia...temo di diventare un peso per quanti amo.
Qualcuno potrebbe pensare che sono la persona più tragica della terra, che tali pensieri non si adattano per niente ad una ragazza di ventun'anni...ma non è così.
Quando si sperimenta l'Alzheimer, è praticamente impossibile dimenticare...è impossibile rimanere illesi! La malattia si sta portando via una figura importante della mia vita, una persona che ha sempre creduto in me, in ciò che sono e in quello che sarò in futuro. E nei momenti tristi della mia vita rimpiango di non aver accanto a me mio nonno, un uomo sano, robusto, dal cuore d'oro, dispensatore di saggi consigli e di dolci carezze. Avrei bisogno della sua presenza...
Il mio timore è di non riuscire ad esser presente un giorno per gli altri...magari per i miei nipotini...chissà!

Da quando sono caduta nella morsa dell'Alzheimer, mi chiedo spesso quale sia lo scopo della vita...se sia possibile, umano soffrire così tanto..se valga la pena di vivere una vita di sacrifici per poi ritrovarsi su una carrozzina, ignari del proprio passato e del proprio presente.
Quando mio nonno non riesce ad alzarsi dalla sedia e a fare un solo passo, quando non riesco a fargli capire che per veder la voce che gli parla deve aprire gli occhi, quando non riesco a farlo mangiare...è allora che sperimento la sofferenza! Vedere tutti quegli anziani, che camminano su e giù per la stanza tutto il santo giorno, bestemmiando, pregando, urlando...è in quel momento che dispero! Perchè vivere così? Che senso ha tutto ciò? E' in questi momenti che le parole dei sacerdoti non mi bastano più! Giulia..."Dio ha un progetto per ognuno di noi, spesso non riusciamo a comprenderlo perchè siamo solo uomini, ma lui ha tracciato la nostra strada; Non disperare, tuo nonno sarà ricompensato nel regno dei cieli; La sofferenza di tuo nonno serve per espiare le colpe di tante altre persone, serve per ricreare il paradiso in terra". No no...io proprio non ci sto! Spiacente ma queste risposte non mi bastano...Forse la mia fede non è abbastanza forte...e in questi momenti difficili queste parole non mi bastano, non mi calmano.

Poi però, ci sono giorni in cui, all'improvviso, mio nonno mi strizza l'occhio sorridendo, mi abbraccia! Ci sono giorni in cui due anziane signore della casa di riposo si prendono per mano e iniziano a passeggiare...e ci sono giorni in cui osservi tutti quei malati sulle loro carrozzine, attorniati da amici e parenti, da persone che li amano. Ed è proprio allora che trovi il senso che andavi cercando: l'amore. La vita di tutti questi malati ha un senso e tale senso è visibile nell'affetto di loro cari! Che siano stati buoni o cattivi genitori "da sani", non conta più di tanto...vai a trovarli perchè dentro di te provi amore per loro!
Spesso i figli si sentono talmente grati nei confronti dei loro genitori che non possono far a meno di tener loro la mano durante questo difficile percorso.

Vorrei proporvi qui di seguito la lettera che la figlia di Ronald Reagan ha scritto a suo padre.
Io la trovo molto commovente e mi è utile stasera per esplicitarvi cosa intendo per affetto-gratitudine nei confronti del proprio genitore malato.

L' ULTIMA BATTAGLIA
La figlia di Ronald Reagan racconta "Cosi' l' Alzheimer spegne mio padre"

Ogni mese, Ronald Reagan, mio padre, perde qualcosa di se' per il morbo di Alzheimer. Per lui, come per chiunque sia affetto da questo male, il vero nemico e' il tempo: che continua a restringersi e diventare vano, svuotato di significato. Mio fratello Michael e io ci incontriamo nell' ufficio di nostro padre e gli portiamo dei regali, anche da parte di nostro fratello Ron, che e' bloccato a Seattle per lavoro. Tutti noi, comprandogli i regali, abbiamo fatto lo stesso ragionamento: abbiamo scelto qualcosa che mio padre sia in grado di osservare con piacere, senza dover leggere. Qualcosa per attirare la sua attenzione. Abbiamo portato dei libri illustrati con fotografie di paesaggi, e dei cioccolatini, un regalo proibito. E anche una sfera di vetro contenente il modellino di un paesaggio: quando la agiti, la neve cade sulle casette. Quando la vidi nel negozio mi ricordai di quando, da piccola, mio padre mi raccontava dei Natali innevati della sua gioventu' . L' ufficio di mio padre e' in un grattacielo che sovrasta Los Angeles. Dalle finestre si vedono il cielo azzurro, le strade, i tetti delle case. Lui ci va ancora un paio d' ore la mattina. Non ha molto da fare, in ufficio, ma non e' questo il punto. Si tratta di una routine, e i malati di Alzheimer devono mantenere le loro abitudini. La routine li aiuta a dare una struttura al tempo che passa, a riempire le ore. E' bello vedere tutti i regali posati sulla scrivania di mio padre. Ormai non c' e' molto: e' quasi vuota. Un blocco di fogli gialli, intonso, e' sempre allo stesso posto da mesi. Guardo le mani di mio padre mentre cercano con cautela di aprire i pacchetti, staccando il nastro adesivo senza strappare la carta. Alla fine pero' , si lascia prendere dall' impazienza. I suoi occhi si illuminano alla vista dei cioccolatini e per un momento Michael e io diventiamo suoi complici in una piccola marachella: si tratta di una ghiottoneria "proibita" che non riceve spesso. "Sono tutti per te, papa' - gli dice Michael -. Non devi dividerli con nessuno". "Ah, bene", risponde allegro, tirando la scatola verso di se' . Quando vede i libri con le fotografie di laghi, di praterie e di montagne resta ammirato. Poi rigira la sfera di vetro e sorride davanti a quel paesaggio invernale in miniatura. Gli dico che quando e' stanco di guardare il sole californiano dalla finestra basta che guardi nella sfera di vetro per cambiare la stagione. Mi fissa e mi dice un "ok" secco. Non so se mio padre sappia ancora cosa rappresenta il Natale, ma sono sicura che sappia cosa vuol dire donare. E, mentre siamo accanto a lui, lo sappiamo anche Michael e io. Siamo lontani dalla follia degli acquisti natalizi, e dei problemi di parcheggio. Mentre ce ne andiamo dall' ufficio, dopo aver salutato papa' , chiedo a mio fratello chi abbia fatto il regalo piu' grande, se noi due a nostro padre o lui a noi. Michael non ha bisogno di rispondermi, lo sappiamo entrambi. Non dovrebbero essere necessari la malattia o il dolore per ricordarci il vero significato del Natale. E invece, purtroppo, spesso e' cosi' . Poco tempo fa, ho fatto un' escursione in collina e mi sono fermata davanti a una cascata e a un laghetto, all' ombra di grandi alberi. Mi sono seduta su una roccia a ascoltare lo scorrere dell' acqua, il vento che muoveva le foglie. Avrei voluto regalare quell' esperienza a mio padre. Avrei voluto regalargli la pace di quegli istanti, la dolcezza di quei suoni, la serenita' di quel luogo. Ma non posso.

Patti Davis Reagan, figlia di Ronald Reagan

Ogni volta che rileggo questa lettera, mi commuovo! Il padre che si illumina davanti alla scatola di cioccolatini, mi fa venire in mente mio nonno che mangiando con voracità un pavesino, mi sorride...e non appena lo finisce, allegro, mi sfiora la mano e mi dice "senti che bon Maria Santissima!"
"Avrei voluto regalargli la pace di quegli sitanti, la dolcezza di quei suoni, la serenità di quel luogo. Ma non posso." scrive Patti Davis Reagan. Già, nemmeno io posso ridare tutto ciò a mio nonno...però posso donargli una parte del mio tempo e posso accompagnarlo durante la tappa finale del suo viaggio. E posso essere forte anche per lui...e posso mettere in pratica quanto mi ha insegnato nella quotidianità, facendo così rivivere ogni giorno, una parte di lui.

Francesco Guccini, nella canzone "Cirano", dice:"...Dev'esserci, lo sento, in terra o in cielo un posto dove non soffriremo e tutto sarà giusto."
Francesco Guccini è certo che esista un'isola felice, un posto in cui non vi siano nè dolore, nè pianto...Io non lo so...però io esisto e posso aiutare, nel mio piccolo, ad alleviare le sofferenze di qualcuno. Io esisto e posso dare il mio contributo, qui ed ora...in vista di raggiungere il posto "dove non soffriremo e tutto sarà giusto."

In una delle sue canzoni, Ligabue canta: "L'Amore conta, l'amore conta, conosci un altro modo per fregar la morte?"...Allora osservo mio nonno...No, non conosco nessun altro modo!


martedì 27 gennaio 2009


Alzheimer: il dolore universale

Alzheimer: alcune testimonianze

Ronald Reagan (ex presidente USA) rivela all'America la sua condizione: "Sono affetto dal morbo di Alzheimer"


5 novembre 1994
Cari americani, mi è stato recentemente comunicato che io sono uno dei milioni di Americani che è afflitto dal morbo di Alzheimer.Dopo aver saputo della malattia, Nancy ed io dovevamo decidere se come cittadini volevamo tenere questa notizia privata o se volevamo condividerla con voi. In passato Nancy ha sofferto di un cancro al seno ed anch’io sono stato operato di cancro. Abbiamo constatato che raccontando di noi gli americani hanno preso coscienza del problema. Noi eravamo felici perché come risultato molte più persone si sono sottoposte ai test preventivi.Queste persone sono state curate ai primi stadi tornando così a vivere una vita normale.Così, ora, sentiamo che è importante condividere questo con voi. Aprendo i nostri cuori, speriamo che tutto ciò possa portare ad una maggior consapevolezza su questa tremenda condizione.Al momento posso affermare che sto ancora bene. Ho intenzione di vivere gli anni che Dio mi lascia in terra facendo le stesse cose che ho fatto fino ad oggi. Io continuerò a dividere il viaggio della mia vita con la mia sempre amata Nancy e la mia famiglia. Ho progettato di gioire nello stare all’aria aperta rimanendo in contatto con i miei amici.Sfortunatamente, il progredire del morbo di Alzheimer, fa sì che spesso la famiglia debba sopportare un carico molto gravoso. Io spero solo che ci sia qualche possibilità affinché Nancy non debba vivere questa dolorosa esperienza. Quando arriverà il momento io confido che con il vostro aiuto lei possa guardare alla malattia con fiducia e coraggio.Vi ringrazio per avermi dato l’onore di potervi servire come vostro Presidente. Quando Dio mi chiamerà a casa sua, qualunque sia il momento, io partirò con tutto l’amore che provo per questo nostro paese e con l’eterno ottimismo per il suo futuro.Ora inizierò il viaggio che mi condurrà verso il tramonto della mia vita. Sarà un lungo addio. Ma io so che per l’America ci sarà sempre una splendente alba davanti.Grazie amici. Dio mio benedicimi.
Con affetto


Ronald Regan



Charlton Heston (attore cinematografico) dichiara pubblicamente di essere stato colpito dall'Alzheimer


9 agosto 2002

Miei cari amici, colleghi e fans,i miei dottori mi hanno recentemente detto che ho un disturbo neurologico e questi sintomi sono preludio alla malattia di Alzheimer.Così...ho voluto preparare poche parole per voi adesso, perché quando il tempo verrà, forse non sarò più in grado di farlo.Ho vissuto tutta la mia vita sul palcoscenico e sullo schermo prima di voi. Ho trovato scopo e giusto mezzo nel vostro responso.Per un attore non c'è perdita più grande che il perdere il suo pubblico. Mi posso separare dal Mar Rosso, ma non posso separarmi da voi, ed è questo il motivo per cui non vi escluderò da questa tappa della mia vita.Per il momento non cambierà niente, insisterò con il mio lavoro quando posso; i dottori insisteranno sul riposo quando necessario. Se vedrete meno scatto nei miei passi, se non riuscirò a pronunciare bene i vostri nomi, voi saprete perché.E se vi racconterò una storia divertente per la seconda volta, per favore, ridete lo stesso.Non sto né arrendendomi e né ribellandomi.Credo di essere ancora il combattente che il dr. King e JFK e Ronald Reagan conoscevano, ma é una lotta che un giorno dovrò dichiarare persa.Devo conciliare coraggio e perdita dei sensi in ugual misura.Per favore, non provate compassione per me. Io non ne avrò. Sarò solo un pò meno disponibile a voi, malgrado i miei desideri. Voglio che voi sappiate che vi sono riconoscente fuori misura. La mia vita è stata piena di fortuna. Sono grato di essere nato in america, culla della libertà e delle opportunità, dove un ragazzo proveniente dal Michigan Northwoods ha potuto lavorare duro per far qualcosa della sua vita. Sono grato per il dono delle parole più elevate che sono state mai scritte, che hanno fatto che io possa dividere con voi l'infinito scopo dell'esperienza umana. Come attore, sono grato di aver vissuto non una vita, ma molte. Più di tutto, sono fiero della mia famiglia, mia moglie Lydia, la regina del mio cuore, i miei ragazzi Fraser e Holly, ed i miei amati nipoti Jack, Ridlej e Charlie.Loro sono i miei più grandi fans, i miei critici più severi, la mia conquista più orgogliosa. Attraverso loro posso toccare l'immortalità.Infine confido sul futuro dell'America. Credo in voi, so che il futuro del nostro paese, la nostra cultura ed i nostri bambini sono in buone mani.William Shakespeare alla fine della sua carriera ha scritto il suo addio attraverso le parole di Prospero nella "Tempesta", che alla fine dice:“O figlio, inquieto tu mi sembri, direi quasi sgomento. Via, rasserenati, il nostro spasso é finito; detto io te l'avea, spiriti eran quei graziosi attori, ed in aria si son tutti dissolti, in impalpabil aria. Come questa visione, edificio senza base. Le torri dalle nubi coronate, i sontuosi palagi e i solenni templi ed il nostro grande globo stesso con tutto quando il fa glorioso e bello. Dissolversi dovranno, e come questo immaterial spettacolo svanendo, di se non lascian traccia nessuna. Noi siam della sostanza anche son fatti i sogni, ed é la breve nostra vita da un sonno circondata. Incollerito tu mi vedi, signor la mia fralezza comporta, é il vecchio mio cervel turbato, ma la sua infermità non ti dia pena. vi prego ritiratevi or voi due nella mia cella, riposate mentre io passeggerç un poco per calmare questo tumulto dell'animo mio”.Grazie, Dio vi benedica tutti.

Charlton Heston

Testimonianze di malati di Alzheimer statunitensi
More Than Death, Many Elderly Fear Dementia
It happens when she forgets. It could be a phone number. It could be an appointment. She might be about to introduce someone — someone she knows very well — and the name will totally elude her: "And this is . . . uh . . . uh. . . ." The fear will crest from some corner of Barbara Waldon's self. She will think with a certain foreboding: Is this the sign? Have I got it? Is my mind going?She is 65. Few people get dementia that young, and her sporadic memory lapses don't necessarily signify much. But still. Her mother had Alzheimer's disease, the dominant cause of dementia, and she saw it unspool in her. Early on, her mother kept notebooks of pertinent information, even dialogue from her husband. Then if he would say to her, "I already told you that," she would riffle through her notebooks to see if in fact he had. Eventually, she would neglect to turn the stove off, and later she would be unable to cook. One day, she left her home in her bathrobe and walked seven miles and could not say where she lived.On and off, Mrs. Waldon worries that she, too, might be consigned to a life no one wants to live. She is a retired guest coordinator and field producer for a cable television network and lives in Cambria Heights, Queens. "If I forget something," she said, "I begin to think, `Oh my God, do I have Alzheimer's?' That's worse than death."It is often assumed that death is the great bogeyman of the elderly, what they dread above all else, but now that people live much longer, and have greater expectations for their old age, the complexion of their worries has changed. Many elderly people say that what they fear more than death and scourges like cancer is losing their minds, a debasing death of its own sort. Years ago, people joked quaintly about a forgetful aunt or uncle: "Oh, she's just a bit senile. Don't mind her." But one of the cruel consequences of people living longer is that dementia, particularly Alzheimer's disease, is increasingly commonplace. As more people hear about it and see it mercilessly transform relatives and friends, they grow alarmed about their own fates. It has reached the point that far more people appear concerned about getting the disorder than are ever likely to get it. Though considerable research is under way, little about Alzheimer's is well understood, including exactly what causes it, and there is no cure. It is not a normal part of aging, but it is a disease almost exclusively of the aged. The older you get, the more likely you are to get it. Denis Evans, director of the Rush Institute for Healthy Aging, estimates that about 13 percent of Americans 65 and older suffer from Alzheimer's. By his calculation, less than 2 percent of people between 65 and 74 have it, but among those 85 and older, more than 40 percent do."People fear this more than death, because it steals your personality and turns you into somebody that requires total care," said Alexandre Bennett, a clinical neuropsychologist who specializes in geriatrics. She has seen many people caught up in fear of Alzheimer's, people she refers to as the "worried well." More often than not in her experience, she said, the people who worried about it did not have it; it was the ones unaware of memory lapses who were often in the early throes of the condition. While most elderly people will never confront the disease, the odds lose their meaning when you see someone up close withering under its curse. And then if you forget a name, can't find the keys, you wonder.Winifred Stevenson, 86, lives at the Hebrew Home for the Aged at Riverdale. She shudders at all the dementia she sees around her in the corridors and rooms. "Day after day, I pray to the Lord I won't turn out that way," she said. "I'd rather die than end up like that. I don't want to be a burden."She went on, "I've been getting quite forgetful. I think, `Oh my God, I hope this isn't the beginning of it.' Whenever I forget a name, I go through the alphabet — a, b, c — to see if it will get me to remember the name. I'm very worried."Encased in their fears, many elderly people sift for means to ward off Alzheimer's. In truth, no one knows how to prevent it. A surfeit of dubious "brain" and "memory" pills and techniques prey on people's anxieties. Myths and uncertainties persist. For many years, it has been debated whether aluminum could be a culprit. While many scientists today doubt this, plenty of old people shun aluminum pots and pans and won't buy deodorants containing aluminum.Some studies have suggested that consumption of things like vitamin E and ginkgo biloba, a plant extract, might help some people escape the disease, but the studies have invited further research. Certain doctors think eating fish and drinking red wine could do some good. It has long been considered wise to keep your mind and body active to enjoy a healthy old age: work crossword puzzles, socialize, read. Ms. Stevenson elects activity. She reads. She knits — a scarf, yarn dolls, a hat. She paints pictures of animals. In the pouch on her wheelchair this day was a word puzzle book.Bernard Strauss, 88, another resident of the Hebrew Home for the Aged, said he had noticed that many residents with Alzheimer's sleep much of the day away. So he eschews afternoon naps. Maybe that will shield him. He knows of no evidence it should. Still, if he finds himself nodding off, he'll flick on the television. "I put the ballgame on," he said. "I put the news on."Malka Margolies, the director of communications for the Hebrew Home, who at 42 feels much too young to worry about dementia, said the condition was on her "to-do worry list" for the future. She used to visit her aunt, Bella Gitelman, in Israel, and her aunt would confide her terror that her mind was slipping. At night, as her aunt lay in bed, she did mental exercises. She would run through all the 70-odd names in her extended family, and then try to match the children with the proper parent. She did a lot of public speaking, and would try to remember when she gave a particular speech, where she delivered it, who introduced her and what hotel she stayed in. Her aunt's fears came true. She got Alzheimer's. She is now 87. She no longer recognizes anyone.Her brother, Morris Margolies, 80, a retired rabbi who lives in Leawood, Kan., is not haunted by dementia to the same extent, but he thinks about it. He, too, follows nighttime mental routines. He began them to fight his insomnia, but also to exercise his mind. "This gives me comfort that I'm not losing it," he said. He knows a lot about baseball, and one of his favorite drills is to try to name all the left-handed pitchers who won at least 15 games in a season. He has identified as many as 130 in a single night. Stanford Smilow used to think he looked nothing like his brother, Mel. But as they have aged — Stanford is now 73, Mel is 80 — he has found it uncanny how much they look alike. He sees his brother and he sees himself.It is uncomfortable. For several years, his brother has suffered from dementia. Often, as Mr. Smilow put it, "he's totally out of it." Mel Smilow is in a nursing home. Stanford Smilow, a retired commercial photographer who lives on the Upper East Side, finds it disturbing to visit him. "I look at him and it's like I'm looking in a mirror," he said. He has his own share of memory lapses, which he hopes are normal for someone his age. "If I knew it was coming on for sure, I might not stay alive," he said. "I wouldn't want to be a drag on my wife." He has begun doing crossword puzzles. For years he drove vintage cars at club races, and he still does. He builds model cars and World War II planes. Recently, he and his wife got an Afghan puppy. The dog forces him to go out for walks three or four times a day. When he returns, he bypasses the elevator and walks up the three flights of stairs. It was 12:30. Natalie and Mel Gordon were taking their lunch at a bustling diner on the Upper East Side. They live in Flushing, Queens, married 55 years, full of vigor. Mrs. Gordon is 75 and used to be a social worker in a nursing home. Mr. Gordon is 80. Before retiring, he worked in advertising and then taught high school English."We joke about having a `senior moment,' the buzzphrase for forgetting something, but it's also serious," Mrs. Gordon said meditatively. "Because we all fear Alzheimer's or something that will affect us mentally."The Gordons have seen several friends enter a dark alcove no one would want to enter. One was an artist. They would accompany him to museums, and he would stare transfixed at a painting and be unable to summon the words to express his appraisal. He went into a long-term care facility, developed full-blown Alzheimer's. He died a year ago, everyone around him a stranger. Another friend was planning a 90th birthday party. The invitations were all ready. Then he suffered a stroke, became confused, was put into a nursing home. The party was held there. "The big concern for me is will I recognize it when it begins," Mrs. Gordon said. "If I tell a joke a second time to the same people, is that it? The fear for me is, will I not recognize it and then slip into a condition where I will not be able to deal with my family and those I love. I don't want to slip out of my life and not be able to tell them how I feel."She glanced at her husband: "My concern is will I become impatient with him if it happens to him."He said, "I worry, will I be angry."As they nibbled at their lunches, they got to talking, the patter of husbands and wives in a diner booth.Him: I think I've noticed more inability for her to find the word, to find the sentence. In the last year.Her: I'm thinking of a name of somebody, and I can remember it starts with a b.Him: It's as if your mind is thinking of something, and then it gets distracted and goes off in another directionHer: My problem with you is not finding things, losing things around the house.Him: But is that new?Her: I don't know. I used to think it was carelessness.Him: Maybe more frequently in the last few years.Her: In defense, we have quite an extensive social. . . .Him: Network.Her: Thank you. I was searching for the word, and you found it.The Gordons are active people. They volunteer. They go out a good deal. They support each other. They make lists galore. She has a special place where she stashes an extra comb for when he loses his comb. They belong to a book discussion group, and after the views on the book are offered, the members typically drift into what they teasingly call their "organ recitals," when they rattle off capsule updates on their ailments: someone talks about his kidney, someone else gives the latest on a lung. Virtually never, though, does dementia come up. It is as if it is too frightening to mention.The other day, during one of the organ recitals, the Gordons went ahead and broached the topic. Everyone chimed in. They all expressed their fears.The apprehension sometimes insinuates itself early, well before one is old.Three siblings, two sisters and a brother, all in their 40's, saw their mother, now 77, develop vascular dementia about five years ago. They didn't want to be identified, to protect their mother's privacy. Their mother spent her medical career specializing in geriatrics and dementia, and her specialty came to claim her. As the siblings have seen the metastasis of their mother, their own fears have mounted.One of the sisters, who is 47, said, "Every time I can't remember someone's name, which happens all the time, or when I forget what I'm supposed to do, I think, uh-oh, is this happening to me?"Her sister, who is 48, said: "A family joke as a child was do crossword puzzles and you won't get dementia. My mother told us that."She doesn't do puzzles. Her sister has begun to try them.
[Fonte: New York Times 11/11/02 - N. R. Kleinfield]


Che fine ha fatto il tenente Colombo????



Peter Falk, l’attore che dal 1968 interpreta il ruolo del Tenente Colombo, si è ammalato di Alzheimer all’età di 81 anni.
La figlia dell'attore ha chiesto ad un tribunale di Los Angeles l'autorizzazione a gestire gli affari del padre ormai incapace di intendere e di volere.



Rita Hayworth



E' stata un'attrice statunitense, tra le più belle e seducenti donne della storia del cinema

Appena superati i sessant'anni viene colpita da una grave e implacabile malattia, l'Alzheimer. Si spegne il 15 maggio del 1987 all'Albert Einstein College and Hospital di New York.

Quanto era bella questa attrice!! Era davvero strepitosa!
E che dire poi del tenente Colombo!!! Io e mio padre adoriamo sdraiarci sul divano la domenica sera a guardare le sue geniali intuizioni!!

E' triste, non trovate? E' triste sapere che anche personaggi così unici, così "immortali" possano esser vittima di una malattia che con il passare del tempo, giorno dopo giorno, li riduce in vegetali! Il fatto è che, personalmente, faccio fatica ad immaginare Rita Hayworth su una carrozzina, lo sguardo perso nel vuoto, sola, triste e impotente...Certi personaggi sono così "imponenti", così fantastici che fatichi a credere che i loro volti, i loro corpi, possano esser plasmati da una malattia.

La verità è che l'Alzheimer non guarda in faccia nessuno! Che tu sia ricco, famoso...oppure un poveraccio, un bandito, un santo...non le interessa! E' lei che ti sceglie...e tu sei costretto a seguirla, non hai la forza di opporti.

La domanda che più frequentemente si pongono le persone alle quali viene diagnosticata l'Alzheimer è la seguente: "cosa/come diventerò"?

Tu...tu diventerai questo....











domenica 25 gennaio 2009


"Undicesimo comandamento"....: NON OFFENDERE MAI LA DIGNITA' DI CHI L'HA PERDUTA!

Copio e incollo dal sito del quotidiano "l'Arena" un articolo apparso domenica 30 novembre 2008.
«FANNULLONA? BRUNETTA SI METTA AL MIO POSTO».

Una dipendente pubblica di Parona che accudisce la madre malata di Alzheimer si rivolge al ministro. La lotta di Katherine per estendere il diritto al maxicongedo ai figli di genitori gravemente disabili.
Ha i capelli bianchi e gli occhi azzurri, di un azzurro intenso e quando guarda la persona sembra che vada oltre le apparenze, che veda molto di più. È Monica Lennon, bellissima settantenne. Un tempo insegnava inglese, la sua lingua madre. Ha due figlie che le assomigliano. Katherine è quella che si prende cura di lei. E che studia la sua malattia. La signora Monica, che vive a Parona, infatti è affetta da Alzheimer, e il suo è ormai uno stadio avanzato. Ha dimenticato l'italiano e capisce solo la sua lingua madre. Fatica nei movimenti e si muove su una sedie a rotelle. Secondo i medici potrebbe ancora vivere dai due ai sette anni, ma per Katherine, saranno sicuramente molti di più. È l'amore che glielo fa dire, per questa madre straordinaria che è riuscita a trasmetterle il valore vero della dignità. O meglio: non offendere mai la dignità di chi l'ha perduta. “Le persone più vicine non dovrebbero mai essere esposte alla sofferenza fisica di chi le ama”,diceva Monica alle figlie quando stava bene. L'Alzheimer è una malattia subdola, che devasta la mente, si appropria dei ricordi, deforma le immagini, fa dimenticare chi si è. O forse quest'ultima parte se la tiene tutta per sé. Perché è così che sembra guardando negli occhi la signora Monica, mentre fissa il giornale e tenta in tutti i modi, seduta sulla carrozzella, di prenderlo. Lei amava leggere, leggeva tantissimo. Ora non può più. Ha le mani fredde, ma riesce a stringere quelle degli altri e a trasmettere ugualamente calore e simpatia. «In che dimensione sei mamma?», le chiede spesso Katherine. Lo dice perché ogni tanto la paura di perdere quella donna con i capelli bianchi, la pelle lucida e bella, l'avvolge. C'è anche la disperazione di quando in quando, è perché teme di non farcela più a sostenere la conduzione famigliare assicurata da due badanti che si alternano, il montascale (costato la bellezza di 20 mila euro) che di tanto in tanto si blocca, obbligando Monica a rimanere sulla terrazza di casa. Poi ci sono le terapie, il gruppo di incontro, le vacanze che non sono tali. Non per Katherine almeno. E le notti, dove si dorme con un occhio sempre aperto, l'orecchio attento, pronti a scattare in piedi. Ma ciò che più fa arrabbiare Katherine, dipendente pubblica, è sentirsi additata come una “fannullona” dal ministro Brunetta. Lei è tra i tanti che assistono un disabile che aveva visto nel maxicongedo, previsto dall'articolo 42 del decreto legislativo 151 del 2001, una via d'uscita, un modo per tirare il fiato e non perdere il lavoro. Tuttavia non ha potuto mai usufruirne.Aveva persino scritto al presidente della Repubblica raccontando la drammaticità della sua vita di impiegata pubblica, della sua lotta quotidiana per conciliare lavoro ed esigenze famigliari. L'ufficio per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali le aveva risposto di avere trasmesso la sua missiva al ministero della solidarietà sociale. Ora, con l'associazione Alzheimer Italia Katherine sta portando avanti una petizione per chiedere di estendere il diritto di accesso al maxicongedo anche a figli o famigliari che si occupano di genitori o parenti gravemente disabili. Ma l'idea lanciata dal ministro Brunetta di un numero verde per raccogliere gli “umori” dei famigliari che seguono un disabile l'ha fatta arrabbiare. Al punto da lanciare un appello-invito, anche attraverso quotidiani a tiratura nazionale, al ministro. «Giusto perché si renda conto di quel che dice», esclama, «perché se viene qui gli lascio mia madre un intero giorno. Lui non sa che di fronte a queste realtà le famiglie si spaccano. Non tutti sono in grado di relazionarsi con chi è malato di Alzheimer». Ma Katherine non si aspetta né aiuto, né comprensione: osserva la malattia della madre e studia i migliori sistemi per darle forza, coraggio, conforto. Anche quando le era stata negata dall'Ulss 20 la fisioterapia con la motivazione che Monica è troppo grave, non si è persa d'animo. E la vita l'ha ripagata: una delle due badanti ha un bambino che è entrato per caso nella vita di Monica. È bastato un attimo per capire che sarebbe stato lui la sua fisioterapia. Katherine ha messo in sicurezza ancora di più l'appartamento, altri accorgimenti per Monica, e il resto l'ha fatto questa piccola vita, stimolando quella parte del cervello in cui risiede l'istinto materno. Il bimbo e Monica comunicano, a modo loro lo fanno. L'anziana signora lo protegge con lo sguardo, gli sorride, lo accarezza, lo chiama, a modo suo lo fa. Monica, così, è tornata a vivere pur rimanendo in un mondo tutto suo. «Sto preparando delle musiche, per quando non sarà più in grado di comunicare», racconta Katherine. Il suono viene prima della parola, vorrà dire pur qualcosa». Sì, che chi ti ama davvero non ti lascia mai. (Anna Zegarellli)

Ho voluto proporvi questo articolo perchè lo trovo sensazionale!
Occuparsi dei malati di Alzheimer è davvero DIFFICILE, impegnativo, faticoso...e farlo da soli, senza ricevere alcun aiuto dallo stato o da altri enti, non è semplice!
Davvero GRANDE questa donna che come tante altre persone lotta ogni giorno per onorare la sua creatura, sua madre! E' vero che un malato di Alzheimer ti porta a far sacrifici impensabili...ma l'amore è qualcosa di indescrivibile, qualcosa che ti spinge a dare il massimo di te, qualcosa che ti permette di andare avanti anche quando ti senti triste, senza speranza.

L'Alzheimer ruberà pure i ricordi ai nostri cari...ma la loro DIGNITA' di uomini e donne...quella non la può rubare nessuno!!

giovedì 22 gennaio 2009


IO SPERO...
Ciao a tutti!
Oggi vorrei proporvi un articolo tratto dalla rivista "Panorama" datato 21 settembre 2007.
E' un articolo "vecchiotto", lo so...peccato però che il contenuto sia ancora MOLTO attuale!
Vi ho già detto precedentemente che da un paio d'anni cerco di tenermi informata in merito alla malattia che ha colpito mio nonno...questo articolo l'ho conservato per molto tempo per la sua semplicità e allo stesso tempo per la sua obiettività.
Ve lo riporto qui di seguito...
Dalla rivista Panorama Venerdì 21 Settembre 2007 Alzheimer, maneggiare con curadi Daniela Ovadia (ha collaborato Claudia Boselli).
Provate a immaginare che cosa significhi, per un anziano con l’Alzheimer, arrivare in un Pronto soccorso: un ambiente ansiogeno, affollato, pieno di rumore, dove nulla è familiare. Separato dalla persona che lo accompagna (perché queste sono le regole) deve seguire volti estranei e sottoporsi a una serie di esami che non capisce e lo impauriscono. Drammatico per lui, ma difficile anche per chi deve intervenire e curarlo.“Una caduta, una febbre alta o un semplice mal di denti possono richiedere il ricorso al Pronto soccorso. Dove non esistono percorsi di cura agevolati per le persone con demenza, particolarmente fragili e vulnerabili” dice Patrizia Spadin, presidente di Aima, l’Associazione italiana malattia di Alzheimer. “Se la patologia è avanzata, l’anziano non è in grado di spiegare cosa gli sta succedendo e cosa sente” aggiunge Gabriella Bottini, direttore del Centro di neuropsicologia clinica dell’ospedale Niguarda di Milano. “Magari è accompagnato solo da una badante, il più delle volte straniera, che ha difficoltà a fornire al medico un’anamnesi corretta. Conclusione: viene curato senza tenere nel dovuto conto la sua malattia di base”.Per ovviare a ciò è nato a Milano il Gruppo Alzheimer in Pronto soccorso (Gaps), che raggruppa medici, familiari, neurologi e neuropsicologi. Tra le sue prime iniziative, un convegno a Milano il 22 settembre. Obiettivo, mettere a punto un protocollo di accoglienza per questi malati nei reparti di emergenza. Dove un’altra delle difficoltà segnalate è la cosiddetta “zona grigia”: pazienti che appaiono confusi, ma non hanno una diagnosi certa e per i quali bisogna elaborare un esame diagnostico rapido ed efficace, che orienti il medico.“Vi sono test che potrebbero essere usati anche da volontari nella fase di accoglienza, persino in presidi piccoli e con poco personale” sostiene Bottini. “Lo scopo del Gaps è anche verificare se i risultati così ottenuti sono attendibili”. Ma una buona diagnosi non basta, come afferma Roberto Sterzi, direttore dell’Unità complessa di neurologia dell’Ospedale Niguarda: “Vorremmo ottenere cambiamenti pratici: una stanza dove far attendere il malato di Alzheimer, come già si fa per i bambini; una corsia preferenziale per ridurre i tempi di permanenza; un tutor che guidi il malato e il suo accompagnatore durante gli accertamenti e l’eventuale ricovero; creando un contatto tra l’ospedale e il medico di famiglia per il ritorno a casa”. Ed è proprio la casa il luogo giusto dove curare il malato di Alzheimer: a dirlo non sono gli amministratori pubblici desiderosi di risparmiare sulla costruzione di residenze protette, ma gli stessi familiari che, in oltre l’80 per cento dei casi, sostengono di non voler delegare ad altri la cura del loro congiunto. Il dato, per certi versi sorprendente, è frutto di un’altra indagine condotta dall’Aima e dal Censis: La vita riposta: i costi sociali ed economici della malattia di Alzheimer (Franco Angeli) in uscita per la Giornata internazionale per l’Alzheimer, il 21 settembre.“Se invece si chiede alla gente che passa per strada cosa bisognerebbe fare per assistere questi malati, nella grande maggioranza dei casi si ottiene, come risposta, ‘costruire nuovi ricoveri’” afferma Concetta Maria Vaccaro del gruppo Censis. “È evidente lo scollamento tra le esigenza reali delle famiglie e i bisogni percepiti dalla società. E questo produce interventi inappropriati”.Ciò di cui hanno davvero bisogno le famiglie è altro: maggiori contributi per l’assistenza; più centri di accoglienza diurna; più assistenza a domicilio qualificata e strutture ospedaliere accoglienti per le crisi acute. “Nel 1999 avevamo fatto un’indagine simile” dice Vaccaro. “Il fenomeno delle badanti era ancora agli inizi, e marginale: ora risulta che la metà degli intervistati ha in casa una figura di questo tipo”. Un dato fortemente sottostimato, perché spesso la badante non è in regola e quindi i familiari ne nascondono la presenza. “Anche se gli stipendi percepiti non sono elevati, già oggi pesano in modo eccessivo sui bilanci di molti nuclei familiari” continua Vaccaro.Infine l’assistenza fornita da queste persone, per quanto preziosa, non è qualificata. “Secondo le nostre stime, è un modello che non potrà reggere ancora a lungo, anche perché cominciano a scarseggiare le badanti disponibili. Il problema è che nessuno sta preparando un nuovo modello assistenziale, benché, con l’invecchiamento della popolazione, i malati di Alzheimer siano destinati ad aumentare”.Manca in Italia un censimento, regione per regione, delle strutture che si occupano di questi malati, vuoi per la diagnosi che per il sostegno ai familiari. Un progetto pilota della Federazione Alzheimer ha fotografato per ora la Lombardia: un bilancio per certi versi positivo per quanto riguarda la diagnosi (73 le Unità valutative); ma ancora carente per altri versi: “Non sono sufficienti, per esempio, i centri diurni, e non basta l’assistenza a domicilio, per ora offerta solo agli indigenti” commenta Gabriella Salvini Porro della Federazione (che metterà online l’elenco completo dei centri lombardi). Chissà che l’iniziativa non sia seguita dalle altre regioni italiane.

Dovete sapere che l'evoluzione della malattia può essere suddivisa, con molta approssimazione, in tre fasi. La prima è caratterizzata da una leggera perdita della memoria e da una progressiva incapacità di imparare nuovi concetti e nuove tecniche, nonché da difficoltà a esprimersi e a comprendere. Nel malato si notano modificazioni del carattere e della personalità, difficoltà nei rapporti con il mondo esterno, diminuzione delle capacità percettive visuo-spaziali.

La fase successiva è essenzialmente caratterizzata da un peggioramento progressivo delle difficoltà già presenti: mancanza di memoria autobiografica e quella relativa alle attività manuali più comuni (portare il cucchiaio alla bocca, vestirsi...). I disturbi del linguaggio accompagnano quelli della memoria e il malato perde anche la capacità di comprendere le parole e le frasi, di leggere e di scrivere. Il peggioramento delle capacità visuo-spaziali porta il malato a perdersi sui percorsi conosciuti, a non impararne di nuovi, a non orientarsi nemmeno tra le mura di casa; la capacità di riconoscere le facce e i luoghi viene progressivamente perduta.

La cosiddetta terza fase è caratterizzata da una completa dipendenza dagli altri. Le funzioni intellettive sono gravemente compromesse; compaiono difficoltà nel camminare, rigidità degli arti, incontinenza urinaria e fecale; possono verificarsi crisi epilettiche; le espressioni verbali sono ridotte a ripetizioni di parole dette da altri, o ripetizione continua di suoni o gemiti, o addirittura mutismo. Possono manifestarsi comportamenti "infantili", come portare ogni cosa alla bocca o afferrare qualunque oggetto sia a portata di mano. Spesso il malato si riduce all'immobilità, e la continua costrizione al letto può fare insorgere piaghe da decubito, infezioni respiratorie, urinarie, sistemiche, oltre che contratture muscolari.

Mio nonno sta vivendo il terzo ed ultimo stadio della malattia.
L'incontinenza è parte della sua quotidianità oramai da molti anni, mentre recentemente è emersa anche un'altra caratteristica descritta precedentemente: la ripetizione di suoni e gemiti, seguita da fasi di mutismo totale.
E' da circa due settimane che mio nonno canta tutto il giorno. Dal momento in cui si sveglia a quello in cui finalmente si addormenta, non cessa di cantare. Naturalmente, non è più in grado di riproporre canzoni intere...prende le parole da canzoni diverse, le unisce attraverso suoni, termini incomprensibili o mugolii...La cosa triste è che mio nonno, da sano, amava cantare...ed era molto bravo! Per lui cantare era una forma per rilassarsi, dopo una giornata di duro lavoro. Ora, quella che una volta era una passione, si è trasformata in una condanna.
Non canta perchè è felice...canta perchè non riesce a smettere di farlo. A fine serata è sfinito, così come le persone che gli sono rimaste accanto nel corso della giornata.
L'Alzheimer è così...c'è chi canta, chi urla in continuazione, chi bestemmia e dopo due secondi prega, chi emette gemiti, chi versi...E spesso accade che questi comportamenti siano seguiti, da un giorno all'altro, da mutismo assoluto.
Presso l'istituto in cui attualmente risiede mio nonno, ad esempio, G., un paziente, un uomo di ben 89 anni, trascorre le giornate fischiando. G. fischia sempre, non smette mai. Un giorno, improvvisamente, ha smesso di fischiare. Vivendo con i malati di Alzheimer, si impara a capire le loro condizioni di salute anche da questi piccoli segni; non è affatto semplice, come appunto è detto nell'articolo, capire se e dove il malato sente dolore. Gli operatori, con il tempo, hanno capito che se G. smette di fischiare, significa che non sta bene.

La cosa più bella amici, è recarsi all'ospedale con un malato di Alzheimer!
Tu, familiare, accompagni il tuo caro all'ospedale, perchè senti che c'è qualcosa che non va; a volte, la cosa è evidente, ad esempio una febbre alta, altre volte invece può trattarsi di piccole crisi, frequenti nei malati di Alzheimer, specie se in fase terminale (mio nonno ad esempio chiude gli occhi per minuti se non addirittura per ore e cade in "trans", non ti sente, non risponde ad alcuno stimolo). E qui inizia il bello...Il malato di Alzheimer non può assolutamente attendere ore ed ore su una sedia affinchè qualcuno si occupi di lui!

Nel post precedente, vi ho riportato la mia esperienza all'ospedale.
Era la prima volta che mio nonno manifestava una crisi vera e propria (adesso non ci preoccupiamo più, purtroppo è diventata norma), così io e la mia famiglia ci siamo preoccupati e ci siamo diretti all'ospedale per consultarci con un dottore.
La crisi è durata per circa un'ora e quando mio nonno ha riaperto gli occhi, ignaro di quanto gli fosse accaduto, ha iniziato a cantare, a parlare a voce alta, ad affermare di volersene andare a casa (il fatto di trovarsi in una sala d'attesa, piena di persone, può esser molto disorientante, fastidioso per un malato di Alzheimer). Ebbene a questo punto, dopo infinite ore di attesa, un dottore si permette di urlagli di piantarla con questo baccano...anzi, veramente lo ha urlato a me, visto che ero lì con lui.
Ora, io non sono medico e da persona ignorante in tale ambito, quale sono, mi chiedo: com'è possibile che, nel 2009, non si sia ancora creata una corsia preferenziale per i malati di Alzheimer? Cioè...si tratta della malattia del presente e soprattutto del futuro...è provato che le persone affette d'Alzheimer aumenteranno nei prossimi anni...ma cosa stiamo aspettando??
Come dovevo comportarmi in quel caso? Dovevo rimproverare un uomo di 87 anni, affetto dalla più brutta patologia esistente, perchè dopo ore ed ore d'attesa si lamentava ad alta voce? No, non penso...il dottore doveva esser rimproverato, visto che era stato informato precedentemente che l'uomo in sala d'attesa era affetto da Alzheimer!!
La verità è che è una vergonga! Queste persone necessitano di assistenza 24 ore su 24 e deve essere garantito loro un aiuto immediato qualora ne abbiano bisogno!
Concludo il mio commento raccontandovi un altro episodio accaduto di rencente. Mio nonno è affetto da questa sindrome da più di 10 anni. Scoperta la sua malattia, avevamo deciso che mai e poi mai lo avremmo portato in un istituto! Lui che amava la campagna, il suo orto, la sua casa...Ci siamo occupati di lui per molto, molto tempo, sacrificando tempo e denaro perchè è parte di noi e in quanto tale, lo amiamo di un amore immenso. Purtroppo, l'anno scorso, a causa di gravi problemi di salute da parte di alcuni miei familiari, siamo stati costretti ad "affidare" mio nonno ad una struttura che potesse assisterlo 24 ore su 24, dato che noi non eravamo più in grado di garantirgli un sostegno adeguato.
Non è stato semplice...anzi, è stato straziante, ve lo assicuro! Ancora oggi non è facile...Anche se andiamo da lui ogni giorno, non è più come prima e il senso di colpa per averlo in un certo senso, "abbandonato", permane e credo non se ne andrà mai. Purtroppo non avevamo alternative; lui era sempre più violento, sempre meno autonomo...

Recentemente, alcuni parenti alla lontana e alcuni vicini di casa si sono permessi di affermare che la scelta della mia famiglia, la scelta di trasferire mio nonno in un istituto, è stata una scelta di comodo...un modo per sbarazzarci del povero anziano.
Non posso scrivere qui quello che vorrei far sapere a queste persone...è meglio che non vi renda partecipi di ciò...Vorrei solamente dire a tutti coloro che giudicano senza sapere, che prima di parlare, prima di sputare sentenze, è necessario vivere sulla pelle certe esperienze! E' troppo, troppo facile sostenere che in determinate situazioni, ci si comporterebbe sicuramente in un modo piuttosto che in un altro...Provare per credere!
Giudicare le scelte delle persone, specie se così personali e così delicate, "dal di fuori", è sbagliato. Purtroppo, le persone a volte, si trovano a vivere situazioni in cui non hanno vie d'uscita...e non possono contare su un'ampia gamma di possibilità/soluzioni.
La mia famiglia ed io amiamo mio nonno...mia madre ha sacrificato TANTO per lui, ha lavorato molto per lui, si è battuta molto affinchè fosse rispettata la dignità di suo padre e di tutti i malati di Alzheimer, spesso derisi dalla gente senza cuore. Ma certe volte ciò non basta, da soli non si riesce ad andare avanti e perciò ci si deve appoggiare su qualcuno, su qualcosa (nel nostro caso una struttura)...
L'Alzheimer è una dolore, è fatica, è pazienza, è frustrazione...ma è REALTA'.
Mi auguro che in un futuro, non troppo lontanto, chi di dovere, assista le famiglie che sono costrette a vivere queste difficili realtà. Mi auguro che presto, i malati di Alzheimer non siano costretti ad attendere ore ed ore il proprio turno su una sedia d'ospedale, doloranti ed inermi...
Purtroppo ancora oggi, la malattia di Alzhimer non ha la giusta considerazione che merita e i porgressi nelle varie forme di assistenza al malato sono ancora insufficienti...ma sperare non costa nulla e aiuta ad andare avanti anche in questi momenti così difficili.

venerdì 16 gennaio 2009

Spalle al muro
Quando gli anni son fucili contro,
qualche piega sulla pelle tua,
i pensieri tolgono il posto alle parole,
sguardi bassi alla paura,
di ritrovarsi soli...
E la curva dei tuoi giorni
scendi piano dai ricordi in giù,
lasceranno che i tuoi passi sembrino più lenti,
disperatamente al margine di tutte le correnti....
Vecchio diranno che sei vecchio,
con tutta quella forza che c'é in te,
vecchio,
quando non é finita,
hai ancora tanta vita
e l'anima la grida
e tu lo sai che c'é,
ma sei vecchio
ti chiameranno vecchio,
e tutta la tua rabbia viene su,
vecchio sì,
con quello che hai da dire,
ma vali quattro lire
dovresti già morire,
tempo non ce n'é piu'
E ogni male fa più male,
tu risparmia il fiato,
prendi presto tutto quel che hai,
e faranno in modo che il tuo viso sembri stanco,
inesorabilmente più appannato,
per ogni pelo bianco.....
Vecchio, vecchio......
vecchio,
mentre ti scoppia il cuore,
non devi far rumore,
anche se hai tanto amore da dare a chi vuoi tu....
Ma sei vecchio t'insulteranno vecchio,
e tutta la tua rabbia viene su,
vecchio sì,
e sei tagliato fuori,
tu e le tue convinzioni,
le nuove son migliori,
le tue non vanno più.....
ragione non hai tu....
vecchio sì,
col tempo che faresti,
adesso che potresti,
non cedi perché esisti,
perché respiri tu
perché respiri tu......
perché respiri tu......


Ancora una volta, vi ho proposto una canzone di Renato Zero...
Stasera mi sono ritrovata a riflettere inaspettatamente, sulle difficoltà quotidiane che vivono gli anziani e su quanto penosa, a volte, sia la loro vita.

Stasera, vorrei dedicare questa canzone a quanti, in questi difficili anni di sofferenza, dall'alto della loro cultura e saggezza, hanno scherzato pesantemente sulla malattia di mio nonno...
La dedico ai passanti ed ai parenti che troppo spesso lo hanno deriso; a quel medico presente il giorno in cui mio nonno ebbe una brutta crisi e che se ne uscì con quella frase infelice: "Ma non può farlo stare zitto?".

Ci sono giorni in cui, di fronte ai comportamenti di certi giovani ed adulti, mi chiedo quanto siano diffuse e radicate l'ignoranza e la cattiveria umana...
E' facile deridere un anziano, specie se inerme, afflitto da una qualche grave malattia...basta così poco...
Mio nonno ad esempio, dopo alcuni secondi dimentica le offese...la sua memoria è così deteriorata che non può serbare rancore, perchè non è più in grado di ricordare i torti subiti!
E' incredibile la lezione di vita che ancora una volta, nonostante la sua grave malattia, riesce a darmi! Di fronte a certi atteggiamenti, a certe risatine nei suoi confronti, mi sale una rabbia indescrivibile e sento il bisogno di scaricarla contro la persona che si permette di attaccare la mia creatura! Ma poi osservo mio nonno, il quale ha già scordato l'accaduto e mi chiede di porgergli la mano e di cantare qualcosa con lui...
Allora sorrido anche io, porgo la mano a mio nonno e nel frattempo rivolgo lo sguardo al soggetto che si è permesso di beffeggiare il povero anziano...Con molta calma ed educazione gli auguro, un giorno, di non doversi mai pentire di quanto detto e gli suggerisco di pregare il buon Dio, affinchè gli risparmi una simile sofferenza...Perchè un giorno non molto lontano potrebbe essere lui l'uomo costretto su una carrozzina, incapace di ricordare il nome dei propri cari, di portare il cucchiaio alla bocca, di cantare una canzone...E quel giorno dovrà affidarsi alle cure di altre persone...e io credo che, quel giorno, rivolgerà gli occhi al cielo e dal profondo del suo cuore pregherà la pietà celeste di porgli accanto persone un po' più umane di quanto non sia stato lui...

Questa sera, navigando in Internet, ho scoperto delle stupende poesie scritte da bambini della scuola elementare. Erano davvero TUTTE bellissime...Io ne riporterò solamente alcune, quelle che mi hanno colpita maggiormente.
Spero piacciano anche a voi...


In cerca d’amore
Guarda quel vecchio,
non ha più nessuno.
Ed è triste e solo.
Donagli un sorriso, una mano e
un caldo benvenuto
E lui ti darà tanta felicità.
Se guardiamo nel suo cuore,
troviamo tanto e tanto amore.
A lui non importa noi chi siamo,
ma gli importa solo che lo amiamo.
M. Assunta De G.



L'anziano
Non ti lascerò mai solo.
Sono il bastone della tua vita,
L'aspetto fisico non conta,
Conta il tuo amore,
La tua pazienza,
La tua esperienza.
Non sei mai stanco di parlarmi,
Di raccontarmi,
Sono orgoglioso della tua vita,
Di quello che eri,
E di quello che sei.
Laura G.



L’indifferenza
Non tutti gli anziani sono allegri e fortunati,
Spesso sono solo tristi e abbandonati.
Quando vedo un nonno bianco,
Con le rughe sopra il viso,
Mi vien voglia di abbracciarlo
E dongargli un bel sorriso.
Lui gioca e scherza con i nipotini:
Quanto sono fortunati quei bambini!
Quando vedo un vecchio solo,
Con lo sguardo triste e stanco,
Capisco che ha lavorato tanto.
Se guardo nei suoi occhi
Pieni di sofferenza,
Penso a quanto è brutta
La nostra indifferenza!
Silvia S.


Cosa ne pensate? Io le trovo fantastiche...Il fatto è che i bambini hanno una semplicità d'animo che commuove! Così piccoli...ma con un cuore così grande!

venerdì 9 gennaio 2009





La Pet Therapy




Che cos'è la pet therapy?
Il termine pet therapy, indica una serie complessa di utilizzi del rapporto uomo-animale in campo medico e psicologico. Deriva dell’unione di due parole inglesi : pet o animale d’affezione e therapy o cura ed è comunemente usato per indicare le “ attività e terapie assistite dagli animali”. Gli animali coinvolti nella terapia non sempre sono gli animali da compagnia (i “pet”), ma possono essere impiegati anche animali da allevamento (pecore, capre, animali da cortile in genere), nonchè uccelli, pesci e delfini.

Le attività assistite dall’animale (Animal-Assistd Activities o AAA) impiegano animali specificatamente addestrati, per diminuire la solitudine, migliorare la qualità di vita, accrescere la capacità d’apprendimento creando la motivazione necessaria per raggiungere obiettivi prestabiliti. Le terapie assistite dall’ animale (Animal-Assisted Therapy o AAT), sono attività terapeutiche vere e proprie (cioè con precise caratteristiche), gestite da professionisti di sanità, finalizzate a migliorare le condizioni di salute di un paziente mediante specifici obiettivi. Sono terapie di supporto che integrano, rafforzano e coadiuvano le terapie normalmente effettuate per il tipo di patologia considerato.
Le AAA/AAT sono frequentemente utilizzate negli istituti geriatrici, ospedali, centri di riabilitazione, scuole, centri socio educativi, cooperative, carceri, ecc.
Accanto alle AAA vi sono le AAE, ANIMAL-ASSISTED EDUCATION (ATTIVITÀ EDUCATIVE ASSISTITE DA ANIMALI), che consistono in progetti diretti da professionisti nel campo dell’educazione e prevedono obiettivi specifici volti al miglioramento cognitivo di minori ed adulti.
Le attività promosse dalla pet therapy hanno effetti positivi su alcuni parametri comportamentali e cognitivi dei pazienti affetti da Alzheimer ricoverati presso strutture ospedaliere. I risultati dell'esperienza condotta per otto anni dall'Istituto Geriatrico Ca' Industria di Como, la prima di questo genere in Italia, sono stati illustrati a Firenze dal dott. Giovanni Bigatello nel corso del 52° Congresso Nazionale della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria. “Nella nostra esperienza la seduta si tiene in un apposito locale, dove ognuno dei ricoverati nel Nucleo Alzheimer viene invitato ad accarezzae e a spazzolare il cane, a porgergli piccoli bocconi, a camminare tenendolo al guinzaglio. Viene inoltre richiesto di rievocare possibili ricordi ed esperienza con animali e di rispondere a domande semplici, prevalentemente inerenti l'animale. Nel complesso abbiamo riscontrato un marcato miglioramento dell'attenzione e dell'interazione tra i ricoverati, una riduzione dei disturbi comportamentali, un miglioramento del tono dell'umore e spesso un'interazione verbale pertinente al contesto. In particolare, è stato riscontrato un miglioramento statisticamente significativo nell'ambito del linguaggio. Sembrerebbe inoltre confermata una lieve riduzione delle alterazioni cognitive", ha spiegato il dott. Bigatello.
Il geriatra ha sottolineato che nei pazienti affetti da demenza, il senso di solitudine e abbandono, cui consegue quasi sempre uno stato di despressione più o meno manifesto, è uno dei problemi assistenziali maggiori.

Personalmente credo molto nel "potere degli animali". Sono anni che raccolgo informazioni in merito a questo tipo di terapia e nel corso delle mie letture ho riscontrato parecchi casi in cui la pet therapy ha avuto effetti positivi sui malati di Alzheimer.

Vi ho proposto un pezzetto di questo articolo contenuto nel sito italiasalute.it perchè tratta in maniera chiara e concisa gli aspetti benefici di questa terapia che, assieme ad altri trattamenti terapeutici, quali ad esempio la musicoterapia, supportanto le terapie farmacologiche nei soggetti affetti da Alzheimer.
Mio nonno "era" un contadino. Amava la terra, gli animali...la natura!
Nel cortile del centro presso il quale risiede, sono stati costruiti due piccoli recinti; in uno si trovano delle galline, in un altro dei conigli. Spesso, durante la cena, io e mia mamma sediamo mio nonno davanti la finestra che dà proprio sul piccolo pollaio.
Non potete immaginare la gioia di mio nonno nel vedere le galline!! Purtroppo, l'avazare della malattia si porta via giorno dopo giorno un piccolo pezzetto della memoria di mio nonno...tuttavia, anche se allo stadio attuale della demenza, fatica a riconoscere persone, oggetti ed animali, lo svolazzare delle galline gli mette gioia! E' incredibile!
A tal proposito, una persona recentemente introdotta nella struttura, la "nuova arrivata", ha dimostrato come tutti gli altri pazienti, disagio emotivo e disorienamento durante le prime settimane trascorse nella sua "nuova casa". Come segno di rifiuto per quanto accadeva attorno a lei, si è chiusa in se stessa; ha smesso di camminare, di sorridere...solamente pianto e niente di più! Con la costruzione del pollaio...è rinata! La mattina, quando si sveglia e presenta una delle sue solite crisi di pianto, gli operatori la conducono dalle galline...potrebbe rimanere con loro per delle ore!! Probabilmente, esse la riportano in un contesto conosciuto, sperimentato, trasmettendole un senso di tranquillità.

Uno degli effetti a lungo termine della malattia di Alzheimer è la comparsa di allucinazioni. Mio nonno le ha spesso...Sovente si strofina le mani prima di pranzare; crede che la tavola sia un grande lavabo e la mia felpa, lo strofinaccio sul quale asciugarsi.
Quasi sempre poi, "vede" il suo cagnolino "Neve". Si tratta dell'ultimo cagnolino che mio nonno ha amato (ha avuto diversi cani nel corso della sua vita) e che spesso "rivede" durante le sue quotidiane allucinazioni. In questi momenti, si sporge dalla sedia a rotelle sulla quale è costretto da qualche mese ed inizia a fischiare, a chiamarlo a sè fischiettando allegramente...lui vede il suo cagnolino!!

Il legame con gli animali è riscontrabile frequentemente nei malati di Alzheimer, soprattutto in quanti, da giovani, possedevano un animale o una fattoria.
Gli altri pazienti presenti nella casa di cura, presso la quale risiede mio nonno, nominano spesso gli animali; una signora un giorno mi ha fissata chiedendomi se avessi dato da mangiare ai maialini. Un altro giorno poi, due anziane signore, si sono arrabbiate, oserei dire "ferocemente" l'una con l'altra; entrambe sostenevano di essere le vere padrone di un micetto, entrato da poco a far parte della "piccola famiglia di animali" che l'istituto ha creato.

Io sostengo questa terapia e mi piacerebbe che fosse maggiormente valorizzata all'interno delle strutture che quotidianamente ospitano i malati di Alzheimer. La vista e il contatto con gli animali tranquillizzano i pazienti...un po' come la presenza dei bambini, dei piccini che vanno a trovarli. Entrambi suscitano sentimenti di affetto e gioia negli anziani ammalati e permettono loro, anche se per brevi momenti, di sentirsi "vivi"!

Le informazioni riportate in merito alla pet therapy fanno riferimento ai seguenti siti: www.diamociunazampa.it/.../articles.php?
www.oldenglishsir.it/articoli/pet_therapy_e_associazioni.pdf