domenica 4 gennaio 2009


La dieta del fast food potrebbe avere una relazione con il morbo di Alzheimer



La ricercatrice svedese, Susanne Akterin, ricercatrice nel centro per la ricerca sull’Alzheimer del Karolinska Institutet, ha condotto uno studio sulla possibile relazione esistente tra il cibo “spazzatura” (quello dei fast food e delle tavole calde) ed il terribile morbo di Alzheimer.

La Akterin ha sottoposto le cavie ad una dieta ricca di grassi, zuccheri e colesterolo (in pratica l’equivalente nutritivo dei pasti consumati nei fast food) per nove mesi. I risultati da lei ottenuti le fanno sospettare che una dieta povera di sostanze nutritive e ricca di grassi e colesterolo, combinata con fattori genetici, possa stimolare alcune sostanze cerebrali, che favoriscono l’insorgere del morbo di Alzheimer.

Nella sua ricerca, Akterin si è concentrata sulla variante di un gene chiamato apoE4, rilevata nel 15-20% delle persone, che è un noto fattore di rischio per l'Alzheimer. Questo gene è coinvolto nel trasporto del colesterolo.
I topi geneticamente modificati per simulare l’effetto della variante del gene sugli umani, hanno riportato variazioni chimiche nel cervello, mostrando una crescita anormale della proteina tau e segni che il colesterolo riduceva i livelli di un'altra proteina chiamata Arc, coinvolta nella conservazione della memoria, ha detto Akterin.

La ricercatrice ha affermato che i risultati ottenuti forniscono indicazioni significative per cercare di prevenire l’Alzhimer, tuttavia ritiene necessarie ulteriori ricerche in questo campo prima di diffondere al pubblico quelli che lei definisce “i consigli giusti”.



Scoperto il legame tra Alzheimer e acidi grassi nel cervello

Gli acidi grassi (saturi e insaturi) sono i componenti costitutivi della maggioranza dei lipidi complessi e dei grassi vegetali e animali. Recenti ricerche avrebbero individuato una relazione tra gli acidi grassi e i cambiamenti che avvengono nel cervello durante il decorso che porta all’insorgenza del morbo di Alzheimer.

Lo studio è stato realizzato dagli scienziati del Gladstone Institute of Neurological Disease e della University of California e pubblicato sulla rivista di divulgazione scientifica Nature Neuroscience.Secondo gli autori, il controllo del livello di un acido grasso nel cervello (tramite la dieta o tramite dei farmaci, oppure attraverso con l’ausilio di entrambi)potrebbe contribuire a trattare il morbo di Alzheimer.

Gli scienziati hanno messo a confronto il livello di acidi grassi presenti nel cervello di topi sani con quello di cavie geneticamente modificate in modo da ricreare il morbo di Alzhimer. Dagli esami è risultato che nel cervello dei topi malati c’erano livelli elevati di un acido grasso chiamato acido arachidonico. Il rilascio di tale acido è controllato dall’enzima PLA2. Abbassando i livelli di PLA2 nei topolini affetti da Alzhimer, si è verificata anche una parziale riduzione nel deterioramento della memoria.

Come ha affermato il professor Clive Ballard, direttore della ricerca dell’Alzheimer’s Society: “Questi risultati sono stimolanti e incoraggianti. Sono ora necessarie ulteriori ricerche per verificare se il controllo degli acidi grassi può portare a un effettivo trattamento per i pazienti affetti dal morbo di Alzheimer.”


NGF, Nerve Growth Factor

Dopo poco meno di venti anni la scoperta che valse a Rita Levi Montalcini il premio Nobel continua a tornare utile nella ricerca scientifica. La somministrazione via naso del fattore di crescita nervoso nel modello animale dell’Alzheimer sembra un’interessante prospettiva terapeutica. Far “sniffare” l’NGF (nerve growth factor), una proteina italiana, a topolini malati con sintomi che ricordano l’Alzheimer non solo migliora la salute delle cellule nervose, ma li aiuta a recuperare la memoria, a ricordare un oggetto a loro familiare e a compensare i danni provocati dalla malattia.

Il risultato è stato ottenuto da Antonino Cattaneo, ricercatore Telethon presso la SISSA, Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste e allievo del Nobel Rita Levi Montalcini, che scoprì la molecola nel 1952. Ne dà notizia il sito web Telethon.it.Il progetto Telethon, il cui titolare è Nicoletta Bernardi dell’Istituto di Neuroscienze del CNR di Pisa, riguarda lo sviluppo di strategie terapeutiche non invasive volte a migliorare i deficit comportamentali nel modello animale dell’Alzheimer.

Non è la prima volta che si sfrutta la capacità di un paziente di annusare un farmaco, ma questi risultati prospettano la possibilità che un farmaco basato su NGF, una proteina che difficilmente raggiungerebbe il cervello, possa essere veicolato direttamente nel cervello in modo non invasivo.
“Per veicolare l’NFG direttamente al cervello e sfruttarne le potenzialità terapeutiche per la malattia di Alzheimer – dice Cattaneo – è in corso di sperimentazione una terapia genica ex vivo in cui cellule prelevate dal paziente vengono modificate geneticamente per produrre NGF e poi reimpiantate nel cervello. Ma questi metodi non rappresentano certo l’optimum”.

Far arrivare un farmaco basato su NGF al cervello per via intranasale, invece, è strada promettente verso una possibile terapia, perché è un procedimento molto meno invasivo che potrà avere importanti ricadute cliniche: potrebbe bastare una spruzzata di NGF nel naso e questo, seguendo la pista dell’olfatto, dal naso s’intrufola negli spazi liberi tra cellule vicine fino a risalire al cervello.
(informazioni dal sito italiasalute.it)


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