domenica 25 gennaio 2009


"Undicesimo comandamento"....: NON OFFENDERE MAI LA DIGNITA' DI CHI L'HA PERDUTA!

Copio e incollo dal sito del quotidiano "l'Arena" un articolo apparso domenica 30 novembre 2008.
«FANNULLONA? BRUNETTA SI METTA AL MIO POSTO».

Una dipendente pubblica di Parona che accudisce la madre malata di Alzheimer si rivolge al ministro. La lotta di Katherine per estendere il diritto al maxicongedo ai figli di genitori gravemente disabili.
Ha i capelli bianchi e gli occhi azzurri, di un azzurro intenso e quando guarda la persona sembra che vada oltre le apparenze, che veda molto di più. È Monica Lennon, bellissima settantenne. Un tempo insegnava inglese, la sua lingua madre. Ha due figlie che le assomigliano. Katherine è quella che si prende cura di lei. E che studia la sua malattia. La signora Monica, che vive a Parona, infatti è affetta da Alzheimer, e il suo è ormai uno stadio avanzato. Ha dimenticato l'italiano e capisce solo la sua lingua madre. Fatica nei movimenti e si muove su una sedie a rotelle. Secondo i medici potrebbe ancora vivere dai due ai sette anni, ma per Katherine, saranno sicuramente molti di più. È l'amore che glielo fa dire, per questa madre straordinaria che è riuscita a trasmetterle il valore vero della dignità. O meglio: non offendere mai la dignità di chi l'ha perduta. “Le persone più vicine non dovrebbero mai essere esposte alla sofferenza fisica di chi le ama”,diceva Monica alle figlie quando stava bene. L'Alzheimer è una malattia subdola, che devasta la mente, si appropria dei ricordi, deforma le immagini, fa dimenticare chi si è. O forse quest'ultima parte se la tiene tutta per sé. Perché è così che sembra guardando negli occhi la signora Monica, mentre fissa il giornale e tenta in tutti i modi, seduta sulla carrozzella, di prenderlo. Lei amava leggere, leggeva tantissimo. Ora non può più. Ha le mani fredde, ma riesce a stringere quelle degli altri e a trasmettere ugualamente calore e simpatia. «In che dimensione sei mamma?», le chiede spesso Katherine. Lo dice perché ogni tanto la paura di perdere quella donna con i capelli bianchi, la pelle lucida e bella, l'avvolge. C'è anche la disperazione di quando in quando, è perché teme di non farcela più a sostenere la conduzione famigliare assicurata da due badanti che si alternano, il montascale (costato la bellezza di 20 mila euro) che di tanto in tanto si blocca, obbligando Monica a rimanere sulla terrazza di casa. Poi ci sono le terapie, il gruppo di incontro, le vacanze che non sono tali. Non per Katherine almeno. E le notti, dove si dorme con un occhio sempre aperto, l'orecchio attento, pronti a scattare in piedi. Ma ciò che più fa arrabbiare Katherine, dipendente pubblica, è sentirsi additata come una “fannullona” dal ministro Brunetta. Lei è tra i tanti che assistono un disabile che aveva visto nel maxicongedo, previsto dall'articolo 42 del decreto legislativo 151 del 2001, una via d'uscita, un modo per tirare il fiato e non perdere il lavoro. Tuttavia non ha potuto mai usufruirne.Aveva persino scritto al presidente della Repubblica raccontando la drammaticità della sua vita di impiegata pubblica, della sua lotta quotidiana per conciliare lavoro ed esigenze famigliari. L'ufficio per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali le aveva risposto di avere trasmesso la sua missiva al ministero della solidarietà sociale. Ora, con l'associazione Alzheimer Italia Katherine sta portando avanti una petizione per chiedere di estendere il diritto di accesso al maxicongedo anche a figli o famigliari che si occupano di genitori o parenti gravemente disabili. Ma l'idea lanciata dal ministro Brunetta di un numero verde per raccogliere gli “umori” dei famigliari che seguono un disabile l'ha fatta arrabbiare. Al punto da lanciare un appello-invito, anche attraverso quotidiani a tiratura nazionale, al ministro. «Giusto perché si renda conto di quel che dice», esclama, «perché se viene qui gli lascio mia madre un intero giorno. Lui non sa che di fronte a queste realtà le famiglie si spaccano. Non tutti sono in grado di relazionarsi con chi è malato di Alzheimer». Ma Katherine non si aspetta né aiuto, né comprensione: osserva la malattia della madre e studia i migliori sistemi per darle forza, coraggio, conforto. Anche quando le era stata negata dall'Ulss 20 la fisioterapia con la motivazione che Monica è troppo grave, non si è persa d'animo. E la vita l'ha ripagata: una delle due badanti ha un bambino che è entrato per caso nella vita di Monica. È bastato un attimo per capire che sarebbe stato lui la sua fisioterapia. Katherine ha messo in sicurezza ancora di più l'appartamento, altri accorgimenti per Monica, e il resto l'ha fatto questa piccola vita, stimolando quella parte del cervello in cui risiede l'istinto materno. Il bimbo e Monica comunicano, a modo loro lo fanno. L'anziana signora lo protegge con lo sguardo, gli sorride, lo accarezza, lo chiama, a modo suo lo fa. Monica, così, è tornata a vivere pur rimanendo in un mondo tutto suo. «Sto preparando delle musiche, per quando non sarà più in grado di comunicare», racconta Katherine. Il suono viene prima della parola, vorrà dire pur qualcosa». Sì, che chi ti ama davvero non ti lascia mai. (Anna Zegarellli)

Ho voluto proporvi questo articolo perchè lo trovo sensazionale!
Occuparsi dei malati di Alzheimer è davvero DIFFICILE, impegnativo, faticoso...e farlo da soli, senza ricevere alcun aiuto dallo stato o da altri enti, non è semplice!
Davvero GRANDE questa donna che come tante altre persone lotta ogni giorno per onorare la sua creatura, sua madre! E' vero che un malato di Alzheimer ti porta a far sacrifici impensabili...ma l'amore è qualcosa di indescrivibile, qualcosa che ti spinge a dare il massimo di te, qualcosa che ti permette di andare avanti anche quando ti senti triste, senza speranza.

L'Alzheimer ruberà pure i ricordi ai nostri cari...ma la loro DIGNITA' di uomini e donne...quella non la può rubare nessuno!!

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