IO SPERO...
Ciao a tutti!
Oggi vorrei proporvi un articolo tratto dalla rivista "Panorama" datato 21 settembre 2007.
E' un articolo "vecchiotto", lo so...peccato però che il contenuto sia ancora MOLTO attuale!
Vi ho già detto precedentemente che da un paio d'anni cerco di tenermi informata in merito alla malattia che ha colpito mio nonno...questo articolo l'ho conservato per molto tempo per la sua semplicità e allo stesso tempo per la sua obiettività.
Ve lo riporto qui di seguito...
Dalla rivista Panorama Venerdì 21 Settembre 2007 Alzheimer, maneggiare con curadi Daniela Ovadia (ha collaborato Claudia Boselli).
Provate a immaginare che cosa significhi, per un anziano con l’Alzheimer, arrivare in un Pronto soccorso: un ambiente ansiogeno, affollato, pieno di rumore, dove nulla è familiare. Separato dalla persona che lo accompagna (perché queste sono le regole) deve seguire volti estranei e sottoporsi a una serie di esami che non capisce e lo impauriscono. Drammatico per lui, ma difficile anche per chi deve intervenire e curarlo.“Una caduta, una febbre alta o un semplice mal di denti possono richiedere il ricorso al Pronto soccorso. Dove non esistono percorsi di cura agevolati per le persone con demenza, particolarmente fragili e vulnerabili” dice Patrizia Spadin, presidente di Aima, l’Associazione italiana malattia di Alzheimer. “Se la patologia è avanzata, l’anziano non è in grado di spiegare cosa gli sta succedendo e cosa sente” aggiunge Gabriella Bottini, direttore del Centro di neuropsicologia clinica dell’ospedale Niguarda di Milano. “Magari è accompagnato solo da una badante, il più delle volte straniera, che ha difficoltà a fornire al medico un’anamnesi corretta. Conclusione: viene curato senza tenere nel dovuto conto la sua malattia di base”.Per ovviare a ciò è nato a Milano il Gruppo Alzheimer in Pronto soccorso (Gaps), che raggruppa medici, familiari, neurologi e neuropsicologi. Tra le sue prime iniziative, un convegno a Milano il 22 settembre. Obiettivo, mettere a punto un protocollo di accoglienza per questi malati nei reparti di emergenza. Dove un’altra delle difficoltà segnalate è la cosiddetta “zona grigia”: pazienti che appaiono confusi, ma non hanno una diagnosi certa e per i quali bisogna elaborare un esame diagnostico rapido ed efficace, che orienti il medico.“Vi sono test che potrebbero essere usati anche da volontari nella fase di accoglienza, persino in presidi piccoli e con poco personale” sostiene Bottini. “Lo scopo del Gaps è anche verificare se i risultati così ottenuti sono attendibili”. Ma una buona diagnosi non basta, come afferma Roberto Sterzi, direttore dell’Unità complessa di neurologia dell’Ospedale Niguarda: “Vorremmo ottenere cambiamenti pratici: una stanza dove far attendere il malato di Alzheimer, come già si fa per i bambini; una corsia preferenziale per ridurre i tempi di permanenza; un tutor che guidi il malato e il suo accompagnatore durante gli accertamenti e l’eventuale ricovero; creando un contatto tra l’ospedale e il medico di famiglia per il ritorno a casa”. Ed è proprio la casa il luogo giusto dove curare il malato di Alzheimer: a dirlo non sono gli amministratori pubblici desiderosi di risparmiare sulla costruzione di residenze protette, ma gli stessi familiari che, in oltre l’80 per cento dei casi, sostengono di non voler delegare ad altri la cura del loro congiunto. Il dato, per certi versi sorprendente, è frutto di un’altra indagine condotta dall’Aima e dal Censis: La vita riposta: i costi sociali ed economici della malattia di Alzheimer (Franco Angeli) in uscita per la Giornata internazionale per l’Alzheimer, il 21 settembre.“Se invece si chiede alla gente che passa per strada cosa bisognerebbe fare per assistere questi malati, nella grande maggioranza dei casi si ottiene, come risposta, ‘costruire nuovi ricoveri’” afferma Concetta Maria Vaccaro del gruppo Censis. “È evidente lo scollamento tra le esigenza reali delle famiglie e i bisogni percepiti dalla società. E questo produce interventi inappropriati”.Ciò di cui hanno davvero bisogno le famiglie è altro: maggiori contributi per l’assistenza; più centri di accoglienza diurna; più assistenza a domicilio qualificata e strutture ospedaliere accoglienti per le crisi acute. “Nel 1999 avevamo fatto un’indagine simile” dice Vaccaro. “Il fenomeno delle badanti era ancora agli inizi, e marginale: ora risulta che la metà degli intervistati ha in casa una figura di questo tipo”. Un dato fortemente sottostimato, perché spesso la badante non è in regola e quindi i familiari ne nascondono la presenza. “Anche se gli stipendi percepiti non sono elevati, già oggi pesano in modo eccessivo sui bilanci di molti nuclei familiari” continua Vaccaro.Infine l’assistenza fornita da queste persone, per quanto preziosa, non è qualificata. “Secondo le nostre stime, è un modello che non potrà reggere ancora a lungo, anche perché cominciano a scarseggiare le badanti disponibili. Il problema è che nessuno sta preparando un nuovo modello assistenziale, benché, con l’invecchiamento della popolazione, i malati di Alzheimer siano destinati ad aumentare”.Manca in Italia un censimento, regione per regione, delle strutture che si occupano di questi malati, vuoi per la diagnosi che per il sostegno ai familiari. Un progetto pilota della Federazione Alzheimer ha fotografato per ora la Lombardia: un bilancio per certi versi positivo per quanto riguarda la diagnosi (73 le Unità valutative); ma ancora carente per altri versi: “Non sono sufficienti, per esempio, i centri diurni, e non basta l’assistenza a domicilio, per ora offerta solo agli indigenti” commenta Gabriella Salvini Porro della Federazione (che metterà online l’elenco completo dei centri lombardi). Chissà che l’iniziativa non sia seguita dalle altre regioni italiane.
Dovete sapere che l'evoluzione della malattia può essere suddivisa, con molta approssimazione, in tre fasi. La prima è caratterizzata da una leggera perdita della memoria e da una progressiva incapacità di imparare nuovi concetti e nuove tecniche, nonché da difficoltà a esprimersi e a comprendere. Nel malato si notano modificazioni del carattere e della personalità, difficoltà nei rapporti con il mondo esterno, diminuzione delle capacità percettive visuo-spaziali.
La fase successiva è essenzialmente caratterizzata da un peggioramento progressivo delle difficoltà già presenti: mancanza di memoria autobiografica e quella relativa alle attività manuali più comuni (portare il cucchiaio alla bocca, vestirsi...). I disturbi del linguaggio accompagnano quelli della memoria e il malato perde anche la capacità di comprendere le parole e le frasi, di leggere e di scrivere. Il peggioramento delle capacità visuo-spaziali porta il malato a perdersi sui percorsi conosciuti, a non impararne di nuovi, a non orientarsi nemmeno tra le mura di casa; la capacità di riconoscere le facce e i luoghi viene progressivamente perduta.
La cosiddetta terza fase è caratterizzata da una completa dipendenza dagli altri. Le funzioni intellettive sono gravemente compromesse; compaiono difficoltà nel camminare, rigidità degli arti, incontinenza urinaria e fecale; possono verificarsi crisi epilettiche; le espressioni verbali sono ridotte a ripetizioni di parole dette da altri, o ripetizione continua di suoni o gemiti, o addirittura mutismo. Possono manifestarsi comportamenti "infantili", come portare ogni cosa alla bocca o afferrare qualunque oggetto sia a portata di mano. Spesso il malato si riduce all'immobilità, e la continua costrizione al letto può fare insorgere piaghe da decubito, infezioni respiratorie, urinarie, sistemiche, oltre che contratture muscolari.
Mio nonno sta vivendo il terzo ed ultimo stadio della malattia.
L'incontinenza è parte della sua quotidianità oramai da molti anni, mentre recentemente è emersa anche un'altra caratteristica descritta precedentemente: la ripetizione di suoni e gemiti, seguita da fasi di mutismo totale.
E' da circa due settimane che mio nonno canta tutto il giorno. Dal momento in cui si sveglia a quello in cui finalmente si addormenta, non cessa di cantare. Naturalmente, non è più in grado di riproporre canzoni intere...prende le parole da canzoni diverse, le unisce attraverso suoni, termini incomprensibili o mugolii...La cosa triste è che mio nonno, da sano, amava cantare...ed era molto bravo! Per lui cantare era una forma per rilassarsi, dopo una giornata di duro lavoro. Ora, quella che una volta era una passione, si è trasformata in una condanna.
Non canta perchè è felice...canta perchè non riesce a smettere di farlo. A fine serata è sfinito, così come le persone che gli sono rimaste accanto nel corso della giornata.
L'Alzheimer è così...c'è chi canta, chi urla in continuazione, chi bestemmia e dopo due secondi prega, chi emette gemiti, chi versi...E spesso accade che questi comportamenti siano seguiti, da un giorno all'altro, da mutismo assoluto.
Presso l'istituto in cui attualmente risiede mio nonno, ad esempio, G., un paziente, un uomo di ben 89 anni, trascorre le giornate fischiando. G. fischia sempre, non smette mai. Un giorno, improvvisamente, ha smesso di fischiare. Vivendo con i malati di Alzheimer, si impara a capire le loro condizioni di salute anche da questi piccoli segni; non è affatto semplice, come appunto è detto nell'articolo, capire se e dove il malato sente dolore. Gli operatori, con il tempo, hanno capito che se G. smette di fischiare, significa che non sta bene.
La cosa più bella amici, è recarsi all'ospedale con un malato di Alzheimer!
Tu, familiare, accompagni il tuo caro all'ospedale, perchè senti che c'è qualcosa che non va; a volte, la cosa è evidente, ad esempio una febbre alta, altre volte invece può trattarsi di piccole crisi, frequenti nei malati di Alzheimer, specie se in fase terminale (mio nonno ad esempio chiude gli occhi per minuti se non addirittura per ore e cade in "trans", non ti sente, non risponde ad alcuno stimolo). E qui inizia il bello...Il malato di Alzheimer non può assolutamente attendere ore ed ore su una sedia affinchè qualcuno si occupi di lui!
Nel post precedente, vi ho riportato la mia esperienza all'ospedale.
Era la prima volta che mio nonno manifestava una crisi vera e propria (adesso non ci preoccupiamo più, purtroppo è diventata norma), così io e la mia famiglia ci siamo preoccupati e ci siamo diretti all'ospedale per consultarci con un dottore.
La crisi è durata per circa un'ora e quando mio nonno ha riaperto gli occhi, ignaro di quanto gli fosse accaduto, ha iniziato a cantare, a parlare a voce alta, ad affermare di volersene andare a casa (il fatto di trovarsi in una sala d'attesa, piena di persone, può esser molto disorientante, fastidioso per un malato di Alzheimer). Ebbene a questo punto, dopo infinite ore di attesa, un dottore si permette di urlagli di piantarla con questo baccano...anzi, veramente lo ha urlato a me, visto che ero lì con lui.
Ora, io non sono medico e da persona ignorante in tale ambito, quale sono, mi chiedo: com'è possibile che, nel 2009, non si sia ancora creata una corsia preferenziale per i malati di Alzheimer? Cioè...si tratta della malattia del presente e soprattutto del futuro...è provato che le persone affette d'Alzheimer aumenteranno nei prossimi anni...ma cosa stiamo aspettando??
Come dovevo comportarmi in quel caso? Dovevo rimproverare un uomo di 87 anni, affetto dalla più brutta patologia esistente, perchè dopo ore ed ore d'attesa si lamentava ad alta voce? No, non penso...il dottore doveva esser rimproverato, visto che era stato informato precedentemente che l'uomo in sala d'attesa era affetto da Alzheimer!!
La verità è che è una vergonga! Queste persone necessitano di assistenza 24 ore su 24 e deve essere garantito loro un aiuto immediato qualora ne abbiano bisogno!
Concludo il mio commento raccontandovi un altro episodio accaduto di rencente. Mio nonno è affetto da questa sindrome da più di 10 anni. Scoperta la sua malattia, avevamo deciso che mai e poi mai lo avremmo portato in un istituto! Lui che amava la campagna, il suo orto, la sua casa...Ci siamo occupati di lui per molto, molto tempo, sacrificando tempo e denaro perchè è parte di noi e in quanto tale, lo amiamo di un amore immenso. Purtroppo, l'anno scorso, a causa di gravi problemi di salute da parte di alcuni miei familiari, siamo stati costretti ad "affidare" mio nonno ad una struttura che potesse assisterlo 24 ore su 24, dato che noi non eravamo più in grado di garantirgli un sostegno adeguato.
Non è stato semplice...anzi, è stato straziante, ve lo assicuro! Ancora oggi non è facile...Anche se andiamo da lui ogni giorno, non è più come prima e il senso di colpa per averlo in un certo senso, "abbandonato", permane e credo non se ne andrà mai. Purtroppo non avevamo alternative; lui era sempre più violento, sempre meno autonomo...
Recentemente, alcuni parenti alla lontana e alcuni vicini di casa si sono permessi di affermare che la scelta della mia famiglia, la scelta di trasferire mio nonno in un istituto, è stata una scelta di comodo...un modo per sbarazzarci del povero anziano.
Non posso scrivere qui quello che vorrei far sapere a queste persone...è meglio che non vi renda partecipi di ciò...Vorrei solamente dire a tutti coloro che giudicano senza sapere, che prima di parlare, prima di sputare sentenze, è necessario vivere sulla pelle certe esperienze! E' troppo, troppo facile sostenere che in determinate situazioni, ci si comporterebbe sicuramente in un modo piuttosto che in un altro...Provare per credere!
Giudicare le scelte delle persone, specie se così personali e così delicate, "dal di fuori", è sbagliato. Purtroppo, le persone a volte, si trovano a vivere situazioni in cui non hanno vie d'uscita...e non possono contare su un'ampia gamma di possibilità/soluzioni.
La mia famiglia ed io amiamo mio nonno...mia madre ha sacrificato TANTO per lui, ha lavorato molto per lui, si è battuta molto affinchè fosse rispettata la dignità di suo padre e di tutti i malati di Alzheimer, spesso derisi dalla gente senza cuore. Ma certe volte ciò non basta, da soli non si riesce ad andare avanti e perciò ci si deve appoggiare su qualcuno, su qualcosa (nel nostro caso una struttura)...
L'Alzheimer è una dolore, è fatica, è pazienza, è frustrazione...ma è REALTA'.
Mi auguro che in un futuro, non troppo lontanto, chi di dovere, assista le famiglie che sono costrette a vivere queste difficili realtà. Mi auguro che presto, i malati di Alzheimer non siano costretti ad attendere ore ed ore il proprio turno su una sedia d'ospedale, doloranti ed inermi...
Purtroppo ancora oggi, la malattia di Alzhimer non ha la giusta considerazione che merita e i porgressi nelle varie forme di assistenza al malato sono ancora insufficienti...ma sperare non costa nulla e aiuta ad andare avanti anche in questi momenti così difficili.